Viaggio nel cuore dei Balcani, vi racconto la mia Guča
Certo, parlare dell’esperienza di un evento vissuto quasi tre anni dopo la partecipazione non è il massimo. I ricordi si offuscano e la realtà si mischia alla fantasia. Ma, la voglia di tornarci e quindi di parlarne è tanta. Mi riferisco al famoso Festival degli ottoni di Guča in Serbia.
Estate 2006. Si parte da lontano. È un viaggio che unisce due sud d’Europa: quello italiano e quello balcanico. Sud diversi ma simili per la forte identità e genuinità delle persone, per il loro attaccamento alla terra e per la loro apertura verso lo straniero. Si parte dalla Calabria. Un calabrese, un irpino e un serbo. Prima fermata Romagna. Forlì. In tempo per l’aperitivo, tre birre alla spina, qualche boccone e a letto.
Risveglio presto. Si riparte e si viaggia tutto il giorno attraverso la pianura pannonica. Arriviamo a Belgrado in tarda notte. Restiamo qualche giorno nella capitale serba. Non possiamo resistere al richiamo del Danubio e della vita cittadina belgradese. Ma non ci distraiamo dal nostro obbiettivo. Dopo la breve sosta siamo ancora “on the road”. Direzione sud. Attraversiamo la verde campagna serba. Luoghi dimenticati da Dio. Poche e vecchie case tradizionali lungo la strada e pochi distributori di gasolio. Quelli che ci sono hanno terminato il carburante e rischiamo di rimanere per strada in mezzo al nulla.
Dopo un paio di ore di viaggio ci lasciamo dietro le spalle le dolci colline e ci avventuriamo tra le aspre montagne dei Balcani. La strada si stringe, ci infiliamo in un vero e proprio canyon. Davanti a noi solo curve, montagne e dirupi. Impossibile superare i vecchi camion che ci precedono e ci riempiono di fumo. Arriviamo finalmente a Čačak, ultima città prima della nostra meta. Vecchia e polverosa città ad architettura socialista. Niente di speciale, ma si inizia a sentire l’atmosfera della festa. Alla stazione degli autobus una folla di giovani con i loro zaini da viaggio attendono di essere trasportati dalla prima corriera nella “Woodstock balcanica”.
Si riparte dopo aver fatto il pieno e immediatamente entriamo in una stradina di campagna. Dopo pochi chilometri si apre di fronte a noi una grande e verdeggiante vallata. In fondo alla vallata un piccolo villaggio addobbato a festa. Si vedono i tendoni, gli striscioni, le bandiere, i fumi delle braci. L’impressione, da lontano, è di una surreale fiera contadina. Da favola.
Avvicinandoci iniziamo a sentire il ritmo dei tamburi accompagnati da trombe, tuba, bassotuba e sax che si fa sempre più incalzante. Nel mezzo della strada di campagna, ci si para di fronte una sbarra. Sborsiamo pochi dinari ed entriamo. Appena dietro la curva siamo già immersi in una bolgia di colori, suoni e odori. Ancora imbambolati dalla visione parcheggiamo nel primo spazio libero poco distante dal villaggio.
Prima di entrare nella festa cerchiamo di capire come sistemarci per i due giorni di permanenza previsti. Montiamo la nostra tenda sul prato e la prima cosa che cerco è un bagno. Dopo tanti chilometri mi scappa!!! Chiedo in giro dov’è il bagno e senza parlare mi indicano il torrente che scorre vicino al campeggio. Boh! Vado. È geniale!! 4 tavole montate sul corso d’acqua con un buco al centro! Ecco il bagno dei campeggianti di Guča. La doccia è ancora meglio! Sempre 4 tavole di legno che hanno come unica funzione quella di coprire dalla vista di migliaia di passanti e un serbatoio più in alto sulla collina. Basta gridare e la signora apre.
L’acqua ghiacciata attraversa i tubi montati alla meglio e arriva a destinazione. Ogni doccia non dura più di un minuto. Ottimo sistema per evitare l’affollamento. Dopo aver sistemato tutti i dettagli tecnici ci buttiamo a capofitto nella festa. Due passi e un vecchio che vende cianfrusaglie ci ferma. Italiani?! Amici!! Una rakija!! Ok, accettiamo. E lui, fa il segno della croce e beve. Poi ci passa la bottiglia. Un’acquavite sicuramente domača (fatta in casa), ottima e fortissima. Almeno 50 gradi! Facciamo per andarcene e lui. Ancora Rakija!! Un’altra e un’altra ancora. Alla quarta scappiamo. Vogliamo vederlo questo cuore pulsante dei Balcani.
Guča è una grande piazza. Sotto i capannoni sparsi per tutto il villaggio e oltre si vende di tutto. Jelen Pivo (la birra locale) a fiumi, decine di maialini e agnelli cuociono sulle braci insieme ad enormi tegami d’argilla pieni del piatto tipico (Kiseli Kupus) preparato con cavolo e carne. E la musica che circonda tutto. Sembra di vivere una scena di “Gatto Nero, Gatto Bianco” di Kusturica. La musica è quella che ci ha fatto conoscere Bregovic, ma più semplice e ritmata. La leggenda vuole che il grande Miles Davis a proposito delle trombe di Guča abbia esclamato: “Non avrei mai detto che si potesse suonare la tromba in questo modo”.
Il Festival ha due anime. La prima è quella più ufficiale. Da palco. I migliori Trubači provenienti da tutti i Balcani si sfidano in un medley di musiche tradizionali e moderne adattate al clima del Festival. In palio la “trombetta d’oro”.
Ma l’anima vera di Guča si trova per le strade. La musica è pressoché la stessa, ma a suonarla sono soprattutto bande di zingari di tutte le età. Dai 10 agli 80 anni. Decine di bande imperversano con i loro ottoni per il villaggio. Suonano senza sosta i loro strumenti ammaccati, ma per la loro bravura non sfigurerebbero in una grande Big Band americana.
Dopo aver sentito qualche pezzo ufficiale, sotto il palco, torniamo sulla strada. È questa l’anima di Guča che vogliamo vivere. Ci sediamo a un tavolo per la cena e ordiniamo birra e maiale. Neanche due minuti e una banda di ottoni ci circonda. La musica si fa sempre più forte e ci alziamo per ballare a quel ritmo che ti entra dentro e non ti lascia fino a quando non hai esaurito tutte le energie. Uno dei musicisti mi guarda e si schiaffeggia sulla fronte insistentemente. Non capisco. Non mi sembra un ballo tipico.
Saša, il mio amico di Belgrado mi spiega che vuole dei soldi per continuare a suonare. Allora prendo 20 dinari e glieli stampo in fronte, altri 50 nel sax. Ma dopo 2 minuti non bastano. I nostri fondi sono limitati, allora continuiamo per altri 15 minuti e la nostra prima Trubaca ci lascia. Seguiranno altre nella nostra breve permanenza.
La sera, poi la notte e la mattina continuano così. Si va per le strade del villaggio continuando a mangiare, bere e ballare senza tregua. Infine, con le prime luci dell’alba, prima di prendere la strada della nostra tenda si va a rendere omaggio alla statua del trombettista di Guča e a bere l’ultima rakja alla salute di questo popolo straordinario.