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Voto a perdere

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Manca ormai poco all’avvento delle elezioni politiche nazionali ed io volevo lasciare ai posteri ziguliniani una piccola riflessione.

Nel magma generale di slogan o consigli utili per il voto che ci han propinato mi pare siano emersi (può darsi mi sbagli) con maggior rilevanza rispetto al passato, riferimenti al voto cosiddetto utile o inutile che dir si voglia. Poi ho amleticamente pensato a me e in che tipo di voto tra i sopracitati mi potessi identificare e niente, mi riconosco solo in un “dead man walking” della scheda elettorale. Da quello mi è soggiunta un’idea e chissà se ci sono altri come me che vanno a votare con il cuore tronfio di speranza pur sapendo che il partito a cui daremo la preferenza, nella migliore delle ipotesi, raggiungerà il 6%. Ladies&gentleman vi presento il voto a perdere.

Il voto a perdere rappresenta la scelta di dare la propria preferenza a chi si consideri il partito migliore che una volta raggiunto il potere, possa cambiare finalmente in meglio le cose però con la consapevolezza che non potrà  mai succedere, perché la sua percentuale oscillerà fra il 5 e il 6%. Perché chi vota a perdere sa che ci vuole qualcosa di più di una dimissione di un Papa o della caduta di un meteorite in Russia per poter almeno solo per un momento accarezzare il sogno che gente onesta e preparata possa cambiare in meglio il Bel Paese. Però vota a perdere lo stesso.

Il voto a perdere se ne fotte del voto utile, non vuole tapparsi il naso e tantomeno fa calcoli ostruzionistici. Chi vota a perdere ha un grande dono: l’immaginazione.

Nella testa e nel cuore di chi vota a perdere  le migliori teorie sociali del Novecento si incontrano, limonano e raggiungono una sintesi perfetta. Movimenti sociali rivoluzionari di tutto il pianeta e di tutti i tempi si riuniscono arricchendosi vicendevolmente. Correnti artistiche moderne e postmoderne si confrontano e dialogano. Culture underground e indipendenti si ibridizzano. Chi vota a perdere  è un nostalgico di ere passate idilliache mai vissute e proietta nel futuro immagini di società migliori che non esistono ancora e molto probabilmente mai esisteranno. Però vota a perdere perché “chissà un giorno, magari e che ne sai tu… tutto ciò si realizzasse”.

Profondamente turbato e  indignato da tutte quelle voci che insinuano che il suo voto sarà buttato perché “che lo voti a fare, tanto non ce la farà mai”, chi vota a perdere ha ben chiara nella sua testolina piena di fantasia una Italia migliore, più bella, più giusta, più cosmopolita. Per questo non si abbassa a votare il “meno peggio”: chi vota a perdere riconosce la sacralità della urna e sa che dopo l’essere seduti sulla tavoletta del water, l’andare a votare è uno dei pochi momenti intimi che ci siano rimasti.

Per questo chi vota a perdere non scende a patti con nessuno e pensa che il suo voto valga più dei cinquanta euri che gli vengono offerti. Al massimo si inchina per cento (scherzo).

Insomma, chi vota a perdere come me non ha perso la speranza. O sì, l’ha persa e neanche se n’è accorto e vota a perdere solo per inerzia, per non omologarsi alla massa.

Perché chissà un giorno, magari, forse, chissà.

 

 

 

 

 

Salvatore Cattogno

scritto da

Questo è il suo articolo n°28

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